domenica 30 novembre 2008

IL '68 IN ITALIA: MUSICA E CONTESTAZIONE - Un articolo su "Il Mucchio Selvaggio" di dicembre

La sera del 13 settembre 1977, al Vigorelli di Milano, si chiuse un’epoca. Il concerto di Carlos Santana, dopo ripetuti lanci di pietre e bulloni sul palco, fu definitivamente interrotto quando una molotov incendiò un amplificatore, mettendo in fuga musicisti e pubblico. Era l’ennesimo episodio di un fenomeno che negli anni precedenti aveva già fatto vittime illustri: Led Zeppelin, Genesis, Lou Reed, Traffic e tanti altri artisti in tournée nella penisola. Questo era lo ‘spirito del tempo’: certe frange dell’estremismo politico nostrano ce l’avevano un po’ con tutto e tutti, anche con l’industria musicale. Ai concerti si contestava il musicista di turno o il prezzo del biglietto, invocando l’autoriduzione e scatenando la guerriglia in nome di una presunta lotta contro la mercificazione della musica e la colonizzazione culturale (al povero Santana urlarono che era un “servo della Cia”). Dopo quella sera al Vigorelli, l’Italia subì un embargo che sarebbe durato almeno due anni, durante i quali i grandi nomi della musica internazionale si tennero alla larga da una ‘piazza’ così turbolenta.
La storia del rapporto tra eventi musicali e ordine pubblico nell’Italia degli anni Settanta è ancora tutta da scrivere [...], ma le prime avvisaglie di questo fenomeno tutto italiano vanno fatte risalire al famigerato 1968, anno seminale di ogni contestazione e delle sue vere o presunte degenerazioni nel corso del decennio successivo. [...] C’è da dire che ragazzi del ’68 avevano altro per la testa e non prestavano poi molta attenzione alla musica. La loro cultura musicale era ancora piuttosto rudimentale e faticava ad affrancarsi da un certo provincialismo. Svanita la spinta innovativa del fenomeno beat (ormai addomesticato dall’industria discografica), nella playlist del sessantottino medio c’era qualcosa di Dylan e della Baez, qualche canto popolare di protesta, l’Internazionale, il folk impegnato di Paolo Pietrangeli (Contessa e Valle Giulia erano le canzoni più gettonate nelle manifestazioni e nei sit-in) e poco altro. Il genere che all’epoca veniva definito “pop” o “undergound” era ancora un fenomeno di nicchia, circoscritto ad una minoranza di appassionati, giovani intellettuali o pittoreschi “capelloni”. E quando nel maggio del ’68 Jimi Hendrix giunse in Italia per una tournée di tre date, ad accoglierlo all’aeroporto trovò uno sparutissimo gruppo di ammiratori. Del resto, la rivista “Giovani” aveva annunciato l’evento con toni più adatti ad un fenomeno da baraccone che a un fuoriclasse come il chitarrista di Seattle: “E’ in arrivo Jimi Hendrix, il negro che suona la chitarra coi denti”. [...]
E sempre a proposito della arretratezza musicale sessantottina, la dice lunga la vicenda dell’International Pop Festival, che si tenne al Palazzetto dello Sport di Roma ai primi di maggio. L’intento degli organizzatori (americani) era quello di replicare in Europa il successo del Monterey Pop Festival dell’anno precedente. Nonostante la presenza in cartellone di Pink Floyd, Byrds, Donovan, Julie Driscoll e Brian Auger, Move, Ten Years After, nonché degli italiani Giganti, le quattro serate in programma andarono quasi deserte. [...] quella che avrebbe potuto essere una sorta di Woodstock ante-litteram si rivelò il “pop flop of ‘68” (come scrisse il “Melody Maker”). [...] Un altro motivo per cui il festival proposto a Roma non poteva funzionare è che qui da noi un ‘festival pop’ c’era già ed era tutto made in Italy: il Cantagiro. La kermesse canora itinerante, creata dal geniale organizzatore Ezio Radaelli, furoreggiava ogni estate ormai da sei anni. [...] In effetti Radaelli fu il primo a portare la cosiddetta ‘musica leggera’ negli stadi, nelle piazze e nelle arene, anticipando in qualche modo quel concetto di grande raduno musicale che, dopo Woodstock, avrebbe avuto un grande peso nella cultura giovanile degli anni successivi. Ma questo nell’estate del 1968 nessuno ancora lo sapeva, e fu proprio la creatura di Radaelli ad essere presa di mira dalla ormai endemica contestazione studentesca. Il Cantagiro si prestava a fare da bersaglio: non solo si muoveva nei grandi spazi, difficilmente controllabili dalle forze dell’ordine, ma aveva una enorme risonanza mediatica.
LA VERSIONE INTEGRALE DELL'ARTICOLO NELL'ULTIMO NUMERO DI "IL MUCCHIO".

1968: musica e contestazione Un articolo